È un fatto noto che nel BDSM il rischio zero non esista. Vale più o meno lo stesso discorso che si potrebbe fare con lo sport: cosa buona, giusta e sana, ma ogni tanto capita lo stesso di farsi male. E chi chiamerai?
Rispondere a questa domanda non è poi così scontato… ma procediamo con ordine.
Negli USA è stato fatto un sondaggio sugli infortuni nel mondo kinky, per capire quanto questi siano frequenti e che implicazioni abbiano alla lunga sulla salute delle persone. I partecipanti sono stati 1398. Il questionario è stato distribuito per mezzo di Facebook e FetLife, e con l’aiuto di organizzazioni sul territorio legate agli ambienti della sessualità alternativa, come la National Coalition for Sexual Freedom (NCSF). Le risposte sono state raccolte in forma anonima tra l’aprile e l’ottobre del 2016.
I risultati? Sembrerebbe che gli infortuni in questa popolazione siano relativamente comuni. Il 13,5% degli intervistati riferisce di aver riportato un qualche tipo di infortunio durante una sessione. Il dato più interessante è però un altro. Dal sondaggio emerge infatti che il 19% degli intervistati avrebbe ritardato o evitato il ricorso alle cure mediche per timore dello stigma sociale. Inoltre, il 58,3% non ha rivelato al suo medico curante la propria identità kinky, mentre il 49,6% non lo ha rivelato nemmeno al suo psicoterapeuta o psichiatra.
I ricercatori danno molta importanza a queste percentuali, perché è stato dimostrato da studi precedenti che il ritardo nelle cure ha un forte impatto sulla qualità della vita anche quando questa non è in pericolo. Ma non basta. Sprott & colleghi suggeriscono che alle persone che si riconoscono come kinky o che praticano BDSM debba essere applicato il cosiddetto Minority Stress Model.
Che cos’è il Minority Stress Model? L’idea è semplice: il fatto di appartenere a una minoranza, che sia di natura etnica, religiosa o sessuale, implica di per sé un maggiore stress per le persone che ne fanno parte. Le evidenze scientifiche suggeriscono, per esempio, che essere oggetto di pregiudizio o discriminazione determini innalzamento della pressione sanguigna, ansia, ecc., comportando alla lunga un sensibile peggioramento delle condizioni di salute mentale e fisica all’interno delle minoranze. Il modello si è rivelato affidabile per quanto riguarda la comunità LGBTQIA+, in cui lo stress aumenta il rischio di depressione, suicidio e abuso di sostanze.
Stando ai risultati del 2016 Kink Health Survey, chi pratica BDSM e chi più in generale si identifica come kinkster non sarebbe esente da questi meccanismi e risponderebbe di conseguenza al Minority Stress Model. Cosa fare?
Un passaggio fondamentale è innanzitutto quello di educare e sensibilizzare medici e terapeuti. Tra i fattori che inducono le persone a non rivelare le proprie inclinazioni sessuali c’è infatti la necessità per il paziente di spiegare al professionista qualcosa che questo ignora; uno degli ostacoli più grossi alla comunicazione, tuttavia, è rappresentato dalle esperienze negative pregresse: chi in passato si è sentito giudicato dai dottori è per forza di cose meno portato a parlarci apertamente.
Un ulteriore elemento emerso dal sondaggio è che avere alle spalle una comunità forte raddoppierebbe le probabilità per l’individuo di aprirsi con medici e terapisti circa la propria sessualità. Naturalmente, il sondaggio è uno strumento con dei limiti intrinseci e che restituisce risultati da analizzare con cautela. Ciò nondimeno, il 2016 Kink Health Survey costituisce un primo passo verso la trattazione sempre più approfondita di un tema delicato come quello del rapporto fra sessualità alternative e salute.